Pagina:Sonetti romaneschi I.djvu/302

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ccxc Introduzione dell'Autore

fattizie. Direi delle loro idee ed abitudini, direi del parlare loro ciò che non può vedersi nelle fisionomie. Perchè tanto queste diverse nel volgo di una città da quelle degl’individui di ordini superiori? Perchè non frenati i muscoli del volto alla immobilità comandata dalla civile educazione, si lasciano alle contrazioni della passione che domina e dall’affetto che stimola; e prendono quindi un diverso sviluppo, corrispondente per solito alla natura dello spirito che que’ corpi informa e determina. Così i volti diventano specchio dell’anima. Che se fra i cittadini, subordinati a positive discipline, non risulta una completa uniformità di fisionomia, ciò dipende da differenze essenzialmente organiche e fondamentali, e dal non aver mai la natura formato due oggetti di matematica identità. Vero però sempre mi par rimanere che la educazione che accompagna la parte dell’incivilimento, fa ogni sforzo per ridurre gli uomini alla uniformità: e se non vi riesce quanto vorrebbe, è forse questo uno de’ beneficii della creazione. Il popolo quindi mancante di arte, manca di poesia. Se mai cedendo all’impeto della rozza e potente sua fantasia, una pure ne cerca, lo fa sforzandosi di imitare la illustre. Allora il plebeo non è più lui, ma un fantoccio male e goffamente ricoperto di vesti non attagliate al suo dosso. Poesia propria non ha: e in ciò errarono quanti il dir romanesco vollero sin qui presentare in versi che tutta palesarono la lotta dell’arte colla natura e la vittoria della natura sull’arte.

Esporre le frasi del romano quali dalla bocca del romano escono tuttora, senza ornamento, senza alterazione veruna, senza pure inversioni di sintassi o troncamenti di licenza, eccetto quelli che il parlator romanesco usi egli stesso: insomma cavare una regola dal caso e una grammatica dall’uso, ecco il mio scopo. Io non vo’ già presentare nelle mie carte la poesia popolare, ma i popo-