Pagina:Sonetti romaneschi V.djvu/81

Da Wikisource.

Sonetti del 1837 71

ER ZOR CAMMILLO1

[2.]

     E bbene, e bbene: e ddàjjela2 cór bene.
Io nun dico de no, pe’ ddio de leggno!
Ma jje ne vojjo inzin’ a un certo seggno,
E sserro l’occhi3 pe’ nun fà ppiù sscene.

     Doppo ch’Iddio lo sa ssi4 cquante pene
Me pijjo sempre pe’ sto bbell’ordeggno:5
Doppo che llei pò ddì6 ccome m’ingeggno
Pe’ mmantenejje7 le bbudelle piene,

     Nun passa ggiorno senza quarche vvojja,
Come le piastre io le zzappassi a ssome.
Ah! ll’omo è un gran cardèo8 quanno s’ammojja.

     Oggi madama vò ir9 caffè cór latte!
Io, sciorcinato10 sto a cquadrini come
Sant’Onofrio a ccarzoni,11 e llei ce bbatte.12

14 marzo 1837.

  1. Vedi il [sonetto] precedente.
  2. E dagliela, cioè: “e torna sempre sullo stesso proposito.„
  3. Dissimulo.
  4. Se.
  5. Ordigno, per “suggetto.„
  6. Può dire.
  7. Per mantenerle.
  8. Imbecille.
  9. [Ir invece di er è, come ho avvertito più volte, un passo fatto verso il, un’affettazione di coloro che si sforzano di parlar civile, e non ci riescono. Qui, il povero sor Cammillo lo adopera, per mettere in caricatura la moglie.]
  10. Tapino.
  11. [Perchè questo santo anacoreta si suol rappresentare in costume adamitico o semiadamitico.]
  12. Batter di cassa, o semplicemente battere, batterci, vale: arrogarsi petulantemente la ragione avendo il torto.