Pagina:Sotto il velame.djvu/277

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le rovine e il gran veglio 255

possano svellersi più dalla vista che al loro “ciglio„ fu sì gradita.1 Vero o probabile che ciò sia, Dante mostra per chiari indizi che egli diverge dalla sua norma, qui; poichè avendo stabilito che il fiume sia d’una pena e d’un peccato l’un estremo come la rovina è l’altro, qui finge che esso riconosca Flegetonte solo all’ultimo, quando egli è nell’ultimo girone che punisce la colpa più grave, ossia la violenza contro Dio, mentre la riviera rossa e’ l’ha veduta nel primo.2

                              Maestro, ove si trova
               Flegetonte?

Ma egli attese, oltre che a tutto il resto, anche a dichiarare che la violenza o malizia con forza o bestialità era un peccato contro la giustizia; e ciò non poteva meglio dimostrare che immergendo nel bollor vermiglio quelli dei violenti che in esercitar la giustizia non avevano servato ordine. La giustizia; o la vendetta, che sono sovente la stessa cosa e hanno, sì presso Dante e sì presso i dottori, lo stesso nome. Ora noi dobbiamo ricordare che avendo il Poeta accolto (come ormai ha da essere poco dubbio) la teorica delle quattro ferite, qui sarebbe la ferita a cui è contraria la giustizia: la ferita della malizia in genere. Ed esso pur dovendo, per gli altri suoi concetti morali e poetici, qui collocare un peccato in cui non è intelletto e c’è solo, di ciò che è peculiare agli uomini, la volontà; sa pure seguire l’altra norma

    è haec non est ira, feritas est, e l’altro esempio di Voleso che, passeggiando tra i cadaveri de’ suoi giustiziati, esclamò: o rem regiam!

  1. Inf. XII 103.
  2. Inf. XIV 130 seg.