Pagina:Spanò Bolani - Storia di Reggio Calabria, Vol. I, Fibreno, 1857.djvu/54

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capo quarto 29   

di principiar la scalata delle mura. In quel subito pochi degli abitanti accorsero rinfusi a respingere il nemico, ed a smorzare l’incendio. Ma sopravvenuto Elori in sul buono, e dato ordine ed effetto a quanto aveva a farsi, la città fu salvata. Imperciocchè li esortò che in vece di affaticarsi a spegner le fiamme, dovessero anzi alimentarle con ogni genere di combustibile che loro venisse alle mani. Frapporrebbero così indugio ed ostacolo all’ingresso del nemico; ed intanto darebbero spazio alla moltitudine de’ cittadini di affrettarsi al soccorso. E questo soccorso fu di tal forza e celerità che Dionisio si vide astretto a toglier l’assalto: e fallitogli per allora il concepito divisamento, e’ si gittò alla preda per la campagna reggina, guastandone gli abitati ed i colti. Poi conclusa tregua per un anno si ricondusse co’ suoi a Siracusa.

Intanto gl’Italioti, commossi dal fatto di Reggio, ed avvedutisi che la cupidigia d’impero spingeva Dionisio sino a’ loro confini, si radunarono a general consiglio in Crotone, dove presero di stringersi in lega offensiva e difensiva, e fecero quante provvisioni stimarono più atte a far fronte a Dionisio, ed a’ Lucani che si erano con lui collegati. Contro Dionisio si strinsero coi Reggini i Crotoniati, i Turii, i Cauloniati, i Metapontini, i Tempsani, gli Eracleoti i Tarentini, e così via via. I Turii misero in punto un esercito di circa sedicimila uomini. Locri non era in questa federazione, nè poteva esserlo, ella che già fatta ancella di Dionisio, davasi tutta piacente alle costui voglie. Uno de’ principali patti del trattato era che se Dionisio o i Lucani corressero ostilmente il territorio di alcune delle repubbliche contraenti, tutte dovessero concorrere alla difesa di quella; ed ove a un bisogno taluna non si trovasse pronta alle armi, i capitani suoi, rei di tal colpa, avessero pena la testa.

Ma il male incurabile degli ordinamenti democratici sta nel difetto dell’unità del comando e dell’accordo de’ consigli; anzi la libera discussione de’ pubblici affari, che assai spesso degenera in funesta e scandalosa licenza, vieta che in tempi difficili si piglino risolutamente que’ partiti, che sono meglio accomodati alla pubblica salvezza. La quale consiste al tutto nell’ardito sperimento delle forti opere, e non nelle virulente contumelie di faziosi o compri oratori, che concitando le passioni del popolo mettono le città in contenzioni e in subugli, e fanno che si deliberi a uso di setta e per gara di uffizii, non per maturità di consiglio ed a pubblico benefizio. E questo difetto di accordo, e di opera fu cagione massima della rovina delle Repubbliche della Magna Grecia, a petto delle spicciolate