Pagina:Spanò Bolani - Storia di Reggio Calabria, Vol. I, Fibreno, 1857.djvu/60

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capo quarto 35   

con ogni mezzo e potere sino agli estremi. Era risoluto Dionisio di tentar tutte le più gagliarde prove per impadronirsi di Reggio. Ma a tanta tempesta di armi contrapponevano i Reggini così ostinala resistenza che Dionisio, diffidandosi di aver la città per assalto, vi soprassedè, e tornò a metterla in assedio, sperando che finalmente si arrenderebbe per fame.

Erano in questo termine le cose quando, approssimandosi la celebrazione de’ giuochi olimpici, (Olimp. 98, 1. av. Cr. 388) Dionisio concorse a quella solennità con parecchie quadrighe sopra le altre velocissime, e fece fare a’ palchi ricchissimi addobbi, mettendo le scene ad oro, ed a drappi di mirabile e vaga fattura, con ricami di ogni maniera. Ed aggiunse rapsodi eccellenti, i quali recitando in pubblico poemi da lui composti (giacchè andava matto in far versi) venissero a dar gloria al suo nome. A Tearide suo fratello diede commissione di tutto questo, il quale come fu giunto alle panègiri, per la eleganza degli eretti palchi, e copia delle quadrighe, attirò a se tutti gli sguardi. Ma quando i rapsodi recitarono i versi, gli uditori, conosciutili cattivi e vani, sbeffeggiarono altamente Dionisio; e tanto valse il dispregio, che il popolo si lasciò correre a rompere ed atterrare que’ palchi. E l’orator Lisia, che era allora in Olimpia, si pose a stimolare la moltitudine di non ammettere al concorso di que’ giuochi sacri i Teori mandati da un tiranno, il quale aveva trascinate a rovina le più inclite città greche d’Italia e di Sicilia, ed ora cruciava a morte i Reggini, non di altro rei che di voler difendere la loro indipendenza. Le quali mortificazioni, fatte in Grecia a Dionisio, lungi dal piegargli l’animo a più miti consigli, mostra che sieno valute a maggiormente aizzarlo a’ danni di Reggio.

Questa città durava già con meravigliosa costanza ad undici mesi di assedio; nè si vedeva onde potesse venirle alcuna speranza di umano soccorso. Una estrema carestia di tutte le cose più necessarie alla vita, aveva condotto i cittadini in tanta miseria, che un medinno di frumento giunse a costar cinque mine. E pure non era tra loro chi parlasse di resa. I viveri erano mancati del tutto, e la fame mieteva orribilmente le vite degli uomini, a cui erano ultimo, e pur gradito cibo, i giumenti ed il lesso di lor cuoja; nè era parola di resa. Dionisio che pur seppe le ultime necessità in cui erano precipitati i Reggini, egli che tanto umano era divenuto co’ prigionieri Italioti, non si commosse a tanta sventura. Anzi faceva ogni forza di aggravarne i mali, mandando giumenti a pascer l’erba, che cresceva sotto le mura della città, a cui gli assediati si gitta-