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Una sera sull’imbrunire erano assieme e chiacchieravano più sereni e tranquilli del solito.
Lei non era più scalza; il suo vestitino, quantunque semplice, era abbastanza elegante. E le stava bene: diventava sempre più bella con quel raggio di speranza e d’amore che le brillava in viso.
Cesare la guardava quasi con compiacenza. Non aveva più sentito nulla di sua cugina dopo lo scambio delle lettere, e aveva avuto la fermezza o l’orgoglio di non chieder nulla.
— Si sarà rassegnata; pensava: m’avrà già dimenticato.
E cercava di persuadersi che tutto era per il meglio e che sarebbe più felice con la mamma della sua Angelina.
In questo tempo si sentì lo strepito d’un barroccio che passava sotto le finestre; Cesare s’affacciò per quella naturale curiosità che ogni cosa desta in campagna, e riconobbe un colono del signor Luigi.
Il contadino lo salutò, e fermò il cavallo.
— Lustrissimo, disse con quel non so che di strisciante e di malizioso proprio dei contadini slavi sparsi per quei paesi; lustrissimo, non sa che padrona Emilia sta per morire?