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madre di Cesare, s’era indirizzata per ottenere il suo ritorno in patria, non avevano osato scrivergliene: ma un signore del Comitato lo aveva scritto a Gianni: Cesare si credeva morto.

— Morto! gridò Emilia, morto!

E la commozione che ne provò fu così forte che lasciò quasi cadere la piccola Angiolina, seduta sulle sue ginocchia.

Il giovane campagnuolo mostrò la lettera del Comitato veneto.

Un veneziano che gli si trovava vicino, aveva veduto cadere il povero Cesare; ma, assalito lui stesso, non aveva potuto assisterlo. Dopo il combattimento nessuno era riescito a vederlo. Il suo cadavere non era stato trovato; ma poichè il suo nome non figurava tra i prigionieri, nè tra i feriti non poteva essere altro che morto. Così la lettera.

Il signor Luigi taceva; forse per la paura di tradire la gioia maligna che ci provava. Gianni, con l’istinto affettuoso dei giovani, non staccava gli occhi dal viso d’Emilia. Solo il buon pedante andava sciorinando certe sue prediche sui dispiaceri che i figliuoli danno ai genitori, sulla sconsideratezza di certe imprese, e la vanità di prodezze infruttuose.