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«Guarda don Baitolo pare una statua» zufolava tra i denti quella biricchina di dietro l’uscio dell’anticamera.

Quanto al signor Arturo, avvisato dal rumore della pipa, e dalle esclamazioni del vecchio che qualcosa di strano doveva essere accaduto, dette appena una sbirciatina oltre le fessure dell’uscio e interrogata la cameriera che per questa volta fu felicissima di dirgli la verità, sgattaiolò pian piano e non si fe più veder per un pezzo.

Ma lo zio d’Emilia non era per nulla un abile cortigiano e un diplomatico di vecchio stampo. Appena passato il primo momento di confusione capì che bisognava sputar dolce per quanto avesse bevuto amaro. Però, accostatosi a Cesare con affettuosa premura, lo abbracciò cordialmente e si fè a interrogarlo, col più ben simulato interesse, su quella sua meravigliosa risurrezione. Il giovane spiegò ogni cosa in poche parole: la sua risurrezione era semplicissima.

Ferito nella mischia egli era stato raccolto dai nemici, fatto prigioniero e condotto a Gaeta.

La resa della fortezza e lo scambio dei prigionieri gli avevano ridonato la libertà. Col mezzo di qualche raccomandazione aveva ottenuto dall’Austria