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discorrere. Allo sbocco della viuzza si separarono, salutandosi un po’ freddamente.

Questo insuccesso dispiaceva a Celanzi in doppio modo: per Annetta e per sè. Cleofe glielo avrebbe fatto scontare! Disperata com’era per quella figliuola, se egli fosse riuscito a renderla contenta facendo ritornare il Brussieri, sarebbe stato per lui come vincere un terno alla lotteria dell’amore. Così invece doveva temere il peggio. Cleofe sarebbe diventata, sempre più fredda e crudele. Già lo trattava abbastanza male. Tutta assorbita dalla sua maternità non aveva neppure l’aria d’accorgersi quando egli era là e le parlava. Gli chiedeva i servigi più delicati e si dimenticava di ringraziarlo. Nè di questo egli si offendeva. Non gli premevano i complimenti. Intendeva pure che una donna in quelle condizioni si facesse quasi scrupolo di pensare all’amore. Intendeva tutto, lui, ed era assai indulgente. Ma in tutte le cose del sentimento vi sono delle graduazioni, delle sfumature, alle quali le persone sensibili e delicate annettono una grande importanza. Così, egli si diceva che, per quanto preoccupata dal suo affetto di madre, Cleofe avrebbe potuto fargli comprendere che aveva coscienza di ciò che egli soffriva per lei, e della tenerezza e dell’abnegazione di cui le dava continue prove.

Invece, mai nulla. Non un lampo di gratitudine in quegli occhi severi, non una di quelle strette di mano che in dati momenti ci sono più care e lasciano