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poteva fare il giro del letto senza cadere semisvenuta, voleva sempre Emma presso di sè. Non le aveva mai dimostrato così tenero affetto.
— Cara Emma — le diceva sommessamente, baciandola: — Tu sei buona, generosa; tu mi ami, mentre io sono stata tante volte cattiva con te.
Emma non la lasciava proseguire. Le proibiva di tenere quei discorsi, e si commoveva, oppressa da un oscuro rimorso che si fondeva con una inesprimibile tenerezza.
Qualche volta Cleofe soffriva di quella marcata preferenza che Annetta accordava alla sorella; e, come tutte le madri troppo tenere, assolveva la sua figliuola e accusava l’altra. I suoi sguardi irati dicevano all’intrusa — così la chiamava nel suo segreto — il dispetto che le faceva: il rancore che aveva chiuso in cuore.
Tanti colpi di spillo per la povera Emma.
Ella si chiedeva tutti i giorni:
— Che cosa devo fare? Che cosa posso io fare?
Altra volta, fissando i suoi occhi soavi in quelli di Cleofe, pensava con tristezza:
— Se fossi anch’io tua figlia, o se tu mi amassi, com’io avevo sperato, il mio amore sarebbe tale da compensarti di molte amarezze. Pur troppo io non sono che una povera abbandonata, raccolta per carità, e tu mi odi!
Malgrado tutto, Emma non odiava Cleofe.