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tre, a migliaia, screziate, di giallo e di rosso, di verde morto e di bruno sporco, tremolavano ancora sui rami per metà denudati; e quel tremolìo pareva un fremito di vita, un ultimo desiderio di godimento.

— Ancora! Ancora! — sembravano dire le misere; — Un po’ di sole, un po’ di rugiada!

Ma ogni colpo di vento ne portava via una, dieci, cento, non del tutto consunte, nella cui delicata compagine scorreva ancora il succo vivificatore, staccandole a forza dalla dolce vita, sferzandole beffardamente per lo spazio infinito; mentre tante e tante altre, già secche, accartocciate, simili a larve d’insetti, resistevano ad ogni scossa, tenacemente attaccate al ferrigno stelo.

Leopoldo respirava a pieni polmoni l’aria frizzante. Una strana sensazione di benessere si allargava nelle sue fibre e impadronendosi del suo cervello fugava le tetre preoccupazioni della realtà.

Si sentiva ringiovanito, pieno di ardire e di confidenza nel destino, di quella confidenza in lui sempre restìa, e senza cui non è possibile raggiungere una meta desiderata.

Perchè aveva perduta sì gran parte della vita, senza gioie, senza espansione, sempre chiuso in sè, con l’amarezza sul labbro e il disprezzo in cuore, presso a una donna calcolatrice, volgare, indegna di lui?.... Chi gli aveva detto che la vita non aveva alcuna gioia meritevole di essere conquistata con tutti gli sforzi possibili? Alcuna ebbrezza per cui fosse bello morire?