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Per compiacenza ella sedette al tavolino da giuoco con zio Marco, mentre i due fidanzati si accomodavano al solito posto, e Leopoldo passava nella sala del piano.

Pure giuocando, Marco discorreva sempre, e la fanciulla, che si distraeva ogni momento, rispondeva spesso a rovescio. Quando egli diceva delle barzellette, cercando di tirare nella conversazione anche Annetta e Paolo, il tormento di Emma diveniva quasi insopportabile, ma il suo viso rimaneva indifferente.

Le fantasie piene di sentimento, che Leopoldo improvvisava le davano la forza di dominarsi. Così la vita esteriore tirava innanzi liscia liscia, mentre nell’intima fremevano tante burrasche.

Verso le undici, Annetta salì da sua madre, e ritornò subito dicendo che dormiva, che il medico le aveva fatto prendere un calmante e aveva dato ordine alla cameriera di lasciarla tranquilla.

— Perchè non s’è fatto vedere il signor dottore? — domandò Marco Fabbi.

— Ha detto alla cameriera che non aveva tempo.

Verso mezzanotte, la casa, completamente silenziosa, pareva immersa nel sonno.

Ma non tutti dormivano.

Come ogni sera, Emma restava alzata finchè non si sentiva vinta dalla stanchezza. Aveva posata la lucerna sul tavolino, e teneva un libro aperto davanti a sè, ma non leggeva: rivangava il passato, svolgendo