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«Sempre posto per Emma Walder in casa Von Roth...»

Con un secondo dispaccio, ella annunziò la sua partenza e il suo arrivo.

E la sera stessa, alle dieci, mentre quelli di casa la credevano in camera sua, ella era alla stazione col suo biglietto per Bologna, in attesa del treno diretto proveniente da Milano.

Aveva in tasca un centinaio di lire: piccole economie fatte in parecchi anni sul suo spillatico. Della sua roba, portava soltanto una borsa con un po’ di biancheria, e alcuni gioielli, doni di Leopoldo, di Cleofe, di Annetta e di zio Marco, che non dimenticava mai gli onomastici e i giorni solenni.

Le batteva il cuore con violenza.

Il fischio straziante del vapore, il tintinnìo monotono del campanello elettrico, la facevano quasi svenire.

Velata e tutta in nero, scivolò come un’ombra sotto agli occhi curiosi del capo-stazione, ed entrò nel primo scompartimento di seconda classe, che le capitò di vedere aperto.

Per fortuna era quasi vuoto.

Seduta, tirò un gran respiro e si rincantucciò nel suo angolo.

Ma appena il treno uscì di stazione, aprì il finestrino, si affacciò, e con uno sguardo abbracciò la campagna, piatta, spoglia, sinistra, sotto al cielo nero come l’inchiostro.