Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 301 — |
— La sua fuga — cominciò Celanzi — gli fece una profonda impressione. — Se ne accorò molto.
Tacque un momento vedendola impallidire e tremare. Poi riprese con voce commossa: — Signorina... Le cose che vuol sapere, e che io non credo poterle nascondere, sono gravi. La faranno soffrire... Qui la gente ci osserva. Allontaniamoci; andiamo verso la campagna. Le parlerò più liberamente.
Ella fece un piccolo cenno E si lasciò condurre.
— Sarebbe meglio prendere una carrozza... permette?...
— No... no! Mi piace camminare.
Egli non osò insistere.
Andarono un pezzo avanti così, uno accanto all’altra, senza parlare; salendo una viottola piena di sole e di verdura, sulla costa del monte.
Erano già fuori dell’abitato, allorchè Emma, riscuotendosi, domandò.
— Dov’è ora il mio babbo?... Dov’è? — ripetè non ricevendo alcuna risposta.
— È a Milano — disse finalmente Andrea senza guardarla — in un istituto sanitario...
— In un istituto sanitario?!... Pazzo!... Oh! mio Dio!...
Il giovine le prese una mano e cercò di calmarla.
Leopoldo non era pazzo: ella non doveva tormentarsi con questo pensiero. Egli era oppresso di tristezza, e i suoi nervi stanchi, la fibra indebolita,