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sagli; le masse nere dei serragli, dei carrozzoni abitati; le case circostanti, la costa erta del Baradello, tutto allagava, blando e sereno, lo splendore del plenilunio pasquale. Pareva un fantastico mondo incantato.
— Tu non dormi — disse Ninì — sentendo che Emma si muoveva nella piccola branda sospesa sopra la sua.
— Ti disturbo, eh? Starò ferma.
— Niente affatto. Neppure io dormo. Fa troppo caldo. Alziamoci un poco. Apriamo una finestra. Fuori dev’essere una bellezza col chiaro di luna.
— E se tuo padre sente?...
— Apriremo quella di cucina che è più lontana.
Si alzarono adagio adagio; scesero dai loro letti; infilarono una gonnella e passarono nel primo scomparto del carrozzone.
Ninì apri il finestrino che dava sul viale, nell’oscurità.
— Che disdetta! Qui non si vede la luna.
Sentirono stridere la sabbia.
— Vien gente!
— Hector! Guarda come dimena la coda. Ci ha riconosciute.
Immobile, a pochi passi dalla finestra, il muso alzato, le orecchie tese, la brava bestia aspettava un ordine.
— Alberto non verrà — disse la bella bambola