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Poteva anche essere un travestito, per mettermi alla prova. Lo guardai meglio e mi fece pietà. Aveva una faccia di miseria, una espressione di angoscia tale, che mi rimescolò tutto. Lo nascosi nel carrozzone, che non era questo s’intende, pensando di mandarlo via prima che Marta avesse finito di lavorare al bersaglio. Una volta passato il Danubio, le guardie non sarebbero tornate indietro. A buon conto lo feci cambiar d’abiti, ed io stesso gettai i suoi nel fiume. Egli mi ringraziava in un modo assai commovente. Cambiai opinione. Lo feci rimanere tutta la notte nel carrozzone, con grande spavento di Marta che non potè chiuder occhio. La mattina andai dal padrone del circo a proporgli un lavoratore che sapeva il suo conto e che poteva essergli molto utile. Ouello accettò; e Mario Buttler andò ad accrescere il numero del personale. Si era così ben trasformato che io stesso stentavo a riconoscerlo.

— Mario Buttler?... Un parente della mamma?...

— Mario Buttler era un nome di guerra preso da Arrigo Walder per quella circostanza....

— Mio padre!... Oh!...

Un singhiozzo le troncò la parola.

— Basta, Gioachino — disse Marta tutta commossa. — Basta, tu la fai soffrire, poverina.

E così dicendo si strinse al cuore, come per proteggerla, la testina bruna della giovinetta. Ma questa insistette perchè Gioachino continuasse. Voleva saper tutto.