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e la maritò a Marco Fabbi. Da vari anni i due giovani si amavano. Ma il vecchio Mandelli che non voleva saperne di queste nozze, aveva chiusa la ragazza in convento.

Leopoldo fu lieto di renderle la libertà e l’amore.

— Sta bene — dicevano i parenti più umani e la stessa Cleofe. — Leopoldo ha fatto, benissimo a levarla dal convento, poichè lei non ci stava volentieri. Ma che bisogno c’era di darle tanti denari?

— È pazzo — mormoravano i più severi. — Bisogna essere pazzi per dar tanti denari a una donna che va a portarli in un’altra casa.

Con lui, naturalmente, nessuno osava discutere. Il suo fare asciutto e tagliente oramai s’imponeva. Indifferente alle critiche che indovinava, pure non udendole, gustò per qualche tempo la suprema soddisfazione di avere resa felice una persona cara. Celeste glielo diceva sempre: «Io sono felice per te.»

Egli passava le più belle ore in quella casa, dove tutto spirava l’amore e la pace.

Fatalmente, dopo due anni, la Celeste morì dando alla luce il suo primo bambino. E dopo due mesi morì anche il bambino. Così Marco Fabbi ereditò dal figlio.

Allora l’uragano scoppiò in casa Mandelli e in casa Celanzi.

La signora Cleofe, profondamente irritata e messa su dalle zie e dalle cugine, scattò per la prima volta.