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mente abbrunata; presentisse la grande malinconia del vicino inverno.
Fausto non osava più insistere. Anche l’anima sua soggiaceva a un tetro presentimento di morte e di lutto. La sua ostinata speranza lo abbandonava di fronte alla desolazione di Argìa. I suoi pensieri si smarrivano. Era finito. Inutile lottare.
Affranto, scorato, si lasciò cadere vicino alla sua povera amica, e restò là in uno stato di rigidezza penosa, senza lagrime, come impietrito.
Nella sua mente non passavano che immagini confuse. Nessun pensiero netto si formulava, eccetto questo: che la sventura immane piombata sulle loro teste, li avrebbe annientati ben presto. E la voce interna e la gran voce misteriosa della campagna battuta dal vento gridavano insieme: Finito! Finito!... Svanito il sogno! Infranta la vita!...
— Fausto!... chiamò Vittorio dal fondo della corte - Argìa!