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138 | nell’ingranaggio |
Gilda non aveva più bisogno d’incoraggiamento. La sua fantasia si era già slanciata incontro a Giovanni, e il cuore le batteva come un martello dentro il bel petto verginale.
Lea venne incontro gridando allegramente:
— La mamma! la mamma!
Quando vide Gilda le fece una gran festa. Non finiva di baciarla e gridava con tutta la sua voce:
— È tornata! è tornata! Oh! che gioia! È tornata Gilda!
Entrarono nella sala da pranzo precedute dal giubilo chiassoso della bambina, che batteva le mani e continuava a gridare: — Oh! che gioia! è tornata! è tornata la mia Gildina!
La tavola era preparata, le lampade accese: evidentemente non si aspettava altro che l’arrivo della signora per annunziare che il pranzo era servito.
Lea corse a cercare il babbo nello studio.
Intanto Sabina si affrettava intorno alla signora Edvige per aiutarla a levarsi la mantiglia e il cappello, come se nulla fosse accaduto fra loro, e la signora accettava i suoi servigi con la più aristocratica indifferenza.
Gilda aveva fatto alcuni passi davanti a sè, poi si era fermata. I lumi l’abbagliavano, le pareva che la sala girasse e si sentiva stringer la gola da una commozione soverchiante.
Chiuse un momento gli occhi, come per Sfuggire a quella visione.
— Eccola! — disse la voce vibrante e gaia di Lea, additando a suo padre la giovane. — Vedi mo’ ch’è vero? — E correndo verso la sua istitutrice che se ne stava ancora immobile, con gli occhi bassi, le saltò al collo esclamando: