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nell’ingranaggio 143


Il Banchiere ghignò.

— Una volta fatto un piano — disse rivolgendosi a Gilda, — io sono d’avviso che non si debba trascurar nulla per eseguirlo con la massima sicurezza e precisione. E il piano che avevo fatto io era di una strategia molto ardita. Oso vantarmene. Così appena seppi dalla mia guardia, ferma in stazione fin dalle tre, che il peggior nemico si era allontanato, prendendo un biglietto per la Svizzera, senza avere il coraggio di far prima una visita al suo appartamentino riservato di via Tre Alberghi, dove teneva molte carte compromettenti e la maggior parte dei valori, feci telegrafare ad un impiegato della fabbrica, che io sospettavo di complicità, che si era fatta una perquisizione in casa del tale e che lo avevano arrestato. Bastò questo. Il telegramma lo feci firmare dal Giovannella, che era un po’ d’accordo con loro, ma che s’affrettò a tradirli appena s’accorse che io sapeva ogni cosa. Il merlo venne a Milano col treno delle sette e mezzo ora sono le otto e dieci! — andò alla casa dell’amico, trovò le guardie sull’uscio, scappò spaventato, saltò in una vettura, si fece condurre alla banca, ma prima di arrivare, a pochi passi di distanza, sull’angolo di piazza del Duomo, vinto, probabilmente, dal rimorso e dalla paura, si tirò un colpo col revolver, che aveva portato seco, si vede, ad ogni buon conto.

— È morto? — domandarono in due.

— A quest’ora forse sarà già morto... Il brumista lo portò fino alla banca, come gli era stato ordinato, e il povero Giovannella che andò ad aprire lo sportello, se lo trovò davanti boccheggiante in un bagno di sangue... Una buona le-