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La signora Edvige, lei, doveva avere altro in mente. Già i due secondi assidui, un ingegnere e consigliere comunale, giovine alto, bruno, elegante e ambizioso, Achille Ferri, e un poeta tedesco, lungo, smilzo, sentimentale quanto biondo, che mandava corrispondenze ai giornali di Berlino e traduceva la politica estera in un giornale di Milano, certo Michele Krauschnitz, bestia nera dell’onorevole Adriani, si erano accorti che la dama de’ loro pensieri aveva una preoccupazione insolita.

Gilda se n’era accorta prima di loro. Fin dal mattino ella sapeva che la sua signora aveva ricevuto una lettera, e che questa lettera l’aveva fatta piangere. Poi il marito era entrato nella sua camera, e Gilda li aveva sentiti discorrere in russo ad alta voce, in un tono aspro.

È vero che qualche ora dopo erano andati tutti e due incontro agli ospiti, sorridendo amabilmente e non serbando nei loro visi la più piccola traccia di alterazione.

Ma oramai Gilda sapeva troppo bene fino a qual punto i signori coi quali viveva possedessero l’arte di dissimulare e sapessero portare la maschera.

In fondo al cuore li compiangeva. Senza ch’ella potesse penetrare nel segreto della loro esistenza, senza rendersi nemmeno conto de’ propri sentimenti, il suo pensiero era trascinato a occuparsi di quelle due persone, a indagare il mistero di cui intuiva resistenza. Involontariamente se li figurava infelici, tormentati, forse minacciati; specialmente lui. La sua immaginazione agiva sul suo cuore, e forse questo su quella. In ogni modo era