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310 nell’ingranaggio


«Certo, sai, ho pensato che se tu vedevi le cose in una maniera così ragionevole, la mia coscienza poteva lasciarmi godere in pace il premio guadagnato con sì poco rischio.

«Sicuro! forza dell’abitudine di approfittare, sempre, della generosità o della spensieratezza altrui, in nostro pro. Ah! bambina, un banchiere resta sempre un banchiere! L’aritmetica è una scienza perfida. Quei piccoli numeri a forza di ripetersi scavano nel cervello e nel cuore tanti piccoli buchi, traverso ai quali tutto si filtra.

«La senti, la mia amarezza? Senti l’odio che ho per me stesso, per la mia debolezza vana, per questa maschera, che non potrò mai strapparmi dal viso?...

«Non ci avevo mai pensato, sai però, prima. Sei tu che mi hai dato come una seconda vita, affatto nuova: la vita del dolore. Senti, ti voglio dire tutto. Una volta, in principio, quando mi inquietavi con la tua bellezza, avevo pensato di poterti prendere e lasciare, come un piacere passeggero, come una medicina che mi ridonasse la calma. Ero poco stupido?

«Ora vedi, il mio grande rimorso, la mia schiacciante vergogna è appunto questa, che amandoti come ti amo e essendo amato da te, come forse pochissime donne amano, non ho fatto niente per te di quello che avrei voluto: nessun sacrificio!

«E, vedi cosa è mai un uomo di affari! non ci avrei forse troppo pensato, se non avessi notato la tristezza crescente del tuo sguardo, certi dati significativi, certi discorsi degli amici, certe loro imprese, che tu, nella tua lealtà, non hai potuto nascondermi. Povera Gilda! Quando non ti potevo