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nell’ingranaggio 319

dove aveva nascosto i suoi libri, rivedeva il giorno e l’ora in cui si era tanto rallegrata per la lettera della signora Pianosi, che la nominava istitutrice di sua figlia. Era il maggio; tutta la campagna era in fiore; il vento le portava un profumo acuto che le saliva al cervello.

Mancavano tre mesi ai due anni! Ella non rivedrebbe il maggio mai più... poteva credere che quei poveri tronchi, quei moncherini contorti non sarebbero rinverditi mai più. Uno scoppio di tenerezza le gonfiò il cuore, le sali agli occhi. Due lagrime cocenti le scesero per le guance.

O Giovanni! Giovanni! mai più un bacio, mai più una carezzai

Pensava almeno a lei in quel momento, o alla industria del ferro e alla fabbrica che aveva a Como, ora tutta sua, o alla plastica bellezza di Edvige, che placidamente gli sorrideva, e alla sua fibra salda di trionfatrice?

Dio! Dio! Come correva il treno! volava. Presto si sarebbe fermato a Melegnano. Giovanni dormiva, forse; non si sarebbe nemmeno affacciato: non lo avrebbe nemmeno intravisto.

Ecco, ora la corsa rallentava. Ella si alzò in piedi, abbassò il cristallo, e appena il treno si fu fermato chiamò il conduttore perchè le aprisse. Discese e si fermò sotto un lampadario, fissando gli occhi intenti dalla parte dove sperava di vedere affacciarsi Giovanni. Vi era un’ombra di fatti. Ella fece un movimento, l’ombra sporse la testa e le spalle. Ella rimase immobile, con tutta la sua vitalità negli occhi. Il treno si mosse lentamente, la testa che sporgeva dal finestrino si trovò di fronte a lei, nella luce del lampione.