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Le giovinette sue alunne uscivano tutte per entrare nel mondo, e lei partiva per andare a Napoli, a dirigere la scuola normale.

Le sue compagne la invidiavano. La Margheritina, una brunetta adorabile, che insegnava calligrafia, e aveva in consegna il primo corso, quello delle piccine, diceva arrovesciando leggermente il labbro inferiore: — Eh! lei va a far fortuna! Entra nel mondo come le signorine!

Finalmente anche quel giorno venne a sera; e poi spuntò il giorno ultimo, quello degli addii. Il collegio fu pieno di singhiozzi e di frasi appassionate. Le amiche intime, le indivisibili, forzate alla separazione, si abbracciavano disperatamente. Si serravano petto contro petto, piangendo come Maddalene, mandando gridi strazianti di dolore passeggiero, trovando un piacere nuovo, inebbriante, in quella forte scossa dei nervi.

Anche a lei, alla maestra che se ne andava, toccò la sua porzione di carezze rumorose, di lagrime senza conseguenze. Alcune si lagnarono ch’era fredda e che non rispondeva con espansione ai loro trasporti.

Dopo partite le grandi, gli altri cinque corsi uscirono tutti insieme con le loro maestre e presero posto in tre grandi omnibus, per andare alla stazione e di là col vapore alla Spezia, a fare i bagni di mare.

L’ultimo grido argentino morì sulla soglia dell’antico palazzo, e gli omnibus partirono allegramente.

Ernestina Maggi rimase sola, con la famiglia del portiere e il domestico incaricato di custodire gli appartamenti. Sola sul limitare di un altro periodo scuro della sua vita malinconica. Domani sarebbe partita anche lei; partita alla