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AL PIANOFORTE.
i ballava tutti i sabati.
La sala, a terreno, in fondo a una corte, somigliava sempre un poco ad un magazzino, quantunque i soci avessero fatto sforzi incredibili per trasformarla e darle un aspetto elegante e gaio.
Tutti giovani, allegri, smaniosi di divertirsi, i soci del Se sa minga; non molto provvisti di denari, ma punto tirati nello spendere.
Avevano fatte le cose per benino; l’impiantito era coperto da un buon tappeto; l’illuminazione, se non sfarzosa, sufficente; e le nude pareti dipinte a calce, nascoste e decorate con stoffe, quadri, specchi, fiori e frondi. La decorazione rivelava la mano e lo spirito di alcuni artisti — pittori e scultori — sparsi tra i soci, i quali nella maggioranza erano impiegati governativi o municipali o ferroviarii, od anche semplici negozianti di stoffe, nastri, colori ed altre cose.
Ma la parte meglio riescita, quella che dava maggiori compiacenze al direttore del Se sa minga, — un buon giovinotto che faceva le prime armi nella critica teatrale — era la musica. Un eccellente piano, un Erard dalla voce sonora, pa-