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I tristi rumori degli ultimi preparativi invasero la casa: passi affrettati e pesanti, voci soffocate, scoppi di singhiozzi, e quei terribili colpi di martello sui chiodi della bara.
— Questo che piange così è il signor Leonardo, il padrone di casa — disse la Tadini ad un vecchio signore che sedeva vicino a lei.
— Poveretto! Egli voleva un gran bene alla sua nonna. La chiamava mamma; e difatti, gli era stata più che madre per l’affetto che gli portava.
— Sì, sì — brontolò una donnetta dal viso rubicondo — è un gran dolore perdere i nostri cari; ma quando sono arrivati a quell’età è una sciocchezza di piangere così. Novantotto anni!... caspita, non bastano? Eh! Pretenderebbero forse che i loro parenti campassero eternamente, mentre tanti altri muoiono giovani come i miei, per esempio?
Questo sproloquio passò senza risposta nella disattenzione generale.
Nell’anticamera si sentiva uno stropicciar di piedi, un biascicamento di preci. Di tratto in tratto qualcuno singhiozzava; poi, voci tenere o gravi raccomandavano la rassegnazione.
— Ecco, portano la bara; andiamo — disse la Tadini alzandosi.
Due necrofori spalancarono l’uscio del salotto, presero le sei corone e sparirono.
La padrona di casa, la signora Elisa Zucchetti,