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che egli intendeva fermarsi in paese tutto l’inverno, contro le sue abitudini, destarono una singolare illusione nei cuori sempre giovani dei vecchi conservatori. Già ve li avevan preparati le lettere di Ettore con quelle espressioni di biasimo per il partito democratico veneziano, con quelle frasi un po’ esaltato dalle quali traspariva più che mai evidente, il fondo aristocratico della sua natura. Uomini semplici, lontani dall’investigazione psicologica, il capitano Gori, il gran cacciatore Virgilio de’ Grassi, l’interminabile Annibale Rigo, don Ludovico e perfino il podestà nobile Alessandri credettero che Ettore, il ribelle, il satirico, fosse diventato addirittura uno dei loro.

Tutti giulivi essi accorsero il dì appresso alla solita riunione del caffè in casa Castellani. Almeno, nella comune sventura, di fronte al grave pericolo che minacciava la Serenissima, ridotta ormai povera e poco serena, avevano acquistato un nuovo compagno. Un giovine, uno spirito vivace e baldanzoso pensava adesso come essi avevano sempre pensato. Non avrebbero più ingrate dispute, dacchè Ettore era dei loro, e Marco Apolonio, quel vero perturbatore, rimaneva a Venezia.

— Ora Ettore ci darà ragione — diceva Virgilio de’ Grassi. — Caro giovine, come s’è ri-