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della mente. Per es., quando vediamo il sole, ce lo rappresentiamo circa duecento piedi distante da noi: nel che ci inganniamo fino a tanto che ignoriamo la sua vera distanza: ma conosciuta questa, è tolto bensì l’errore, non invece la rappresentazione sensibile, cioè l’idea del sole che esplica la sua natura solo in tanto in quanto il corpo ne è affetto: onde, sebbene ne conosciamo la vera distanza, tuttavia ce lo rappresentiamo sempre come vicino. Perchè noi (come ho detto in P. II, prop. 35) non ce lo rappresentiamo così vicino perchè ignoriamo la sua vera distanza: ma perchè la mente così concepisce la grandezza del sole, come il corpo suo ne è affetto. Così quando i raggi del sole vengono riflessi ai nostri occhi dalla superficie dell’acqua, noi ci rappresentiamo il sole come se fosse nell’acqua, sebbene ne conosciamo il vero luogo: e così le altre rappresentazioni sensibili, da cui la mente è tratta in errore, in quanto esprimono o la costituzione naturale del corpo o l’accrescimento o la diminuzione della sua potenza d’agire, non sono contrarie al vero, nè per la sua presenza svaniscono. Accade, quando temiamo falsamente un male, che il timore svanisca all’annunzio del vero; ma accade anche, quando temiamo un male certo, che il timore svanisca ad un falso annunzio: dal che si vede che le rappresentazioni sensibili non svaniscono per la presenza del vero, in quanto vero, ma perchè intervengono altre più forti, che escludono l’esistenza presente delle cose rappresentate. (Et., IV, 1, scol.).

Prop. 2. Noi intanto patiamo in quanto siamo una parte della natura, che non può essere esplicata senza le altre parti.

È un richiamo alle def. 1-3 del libro terzo. L’uomo patisce, è passivo in quanto è parte della natura divina, che si è isolata dal resto, non apprende la vera essenza sua, nè la concatenazione sua col mondo divino e perciò, trovandosi in opposizione col resto, non può trovare in sè solo il principio e le ragioni della sua attività.

Le prop. 3-6 svolgono l’assioma. L’uomo, come essere empirico, considerato extra Deum, è sempre una parte limitata, della quale è possibile pensare qualche cosa di più grande e potente: perciò è inevitabilmente