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i - rime d'amore 107


CXCVII

Contrari effetti in amore.

     Chi ’l crederia? Felice era il mio stato,
quando a vicenda or doglia ed or diletto,
or téma, or speme m’ingombrava il petto,
e m’era il cielo or chiaro ed or turbato;
     perché questo d’Amor fiorito prato
non è a mio giudicio a pien perfetto,
se non è misto di contrario effetto,
quando la noia fa il piacer piú grato.
     Ma or l’ha pieno sí di spine e sterpi
chi lo può fare, e svelti i fiori e l’erba,
che sol v’albergan venenosi serpi.
     O fé cangiata, o mia fortuna acerba!
Tu le speranze mie recidi e sterpi:
la cagion dentro al petto mio si serba.


CXCVIII

Amando s’impara a soffrire e ad esser forti.

     Se soffrir il dolore è l’esser forte,
e l’esser forte è virtú bella e rara,
ne la tua corte, Amor, certo s’impara
questa virtú piú ch’in ogn’altra corte,
     perché non è chi teco non sopporte
de’ dolori e di téme le migliara
per una luce in apparenza chiara,
che poi scure ombre e tenebre n’apporte.
     La continenzia vi s’impara ancora,
perché da quello, onde s’ha piú disio,
per riverenza altrui s’astien talora.
     Queste virtuti ed altre ho imparate io
sotto questo signor, che sí s’onora,
e sotto il dolce ed empio signor mio.