Pagina:Stampa, Gaspara – Rime, 1913 – BEIC 1929252.djvu/261

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i - terze rime 255

     136ond’avvien che’l mio amor cosí v’annoi?
E, s’a morir davanti non vi vengo,
ancora offesa vi chiamate poi:
     139quanto faccio, e di quanto ch’io m’astengo,
di me le vostre voglie a render paghe,
vi spiace, e merto di vostr’odio ottengo.
     142Ma, perché ’i vostro sdegno ognor iti’ impiaghe,
dolci son di quel volto le percosse,
e de le vostre man candide e vaghe.
     145Qualunque affetto in voi giamai si mosse,
tutto fate con grazia: de’ vostri atti
chiunque il dotto e buon maestro fosse.
     148Quai tenesse con voi natura patti,
ancor de l’ire vostre e de l’offese
tutti gli uomini restan sodisfatti.
     151Farvi perfetta a tutte prove intese
l’influsso, donator d’ogni eccellenza,
e benigno la man verso voi stese:
     154quinci del ciel l’altissima potenza
si vede in molti effetti discordanti,
c’han di virtute in voi tutti apparenza.
     157Oh che dolci, oh che cari e bei sembianti,
ch’alte maniere quelle vostre sono,
da farvi i dèi venir qua giuso amanti!
     160E se, coni’io pur volentier ragiono
de le grazie, che ’I ciel tante in voi pose
con singoiar, non piú veduto dono,
     163non mi teneste d’ogni parte ascose
quelle vostre divine e rare parti,
di che vostra persona si compose,
     166non fóran si angosciosi da me sparti
sospiri, né di lagrime vedresti
svampando, cor misero, innondarti.
     169Ma, dond’avien che ’n me, lasso, si desti
la speme, che per prova intendo come
faccia sempre i miei di piú gravi e mesti?