Pagina:Stampa, Gaspara – Rime, 1913 – BEIC 1929252.djvu/339

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i - terze rime 333

     28e che, moltiplicando ne l’offesa,
quant’è colei piú stata paziente,
in voi l’ira si sia tanto piú accesa,
     31sí che, spinto da sdegno, impaziente
le man posto l’avreste adosso ancora,
se noi vietava alcun, ch’era presente;
     34ma voi la minacciaste forte allora,
e giuraste voler tagliarle il viso,
osservando del farlo il tempo e l’ora.
     37Strano mi parve udir, d’un uom diviso
dai fecciosi costumi del vii volgo,
un cotal nuovo inaspettato aviso;
     40e, mentre col pensiero a voi mi volgo,
de la virtute amico e de l’onesto,
la fede a quel, che mi fu detto, tolgo.
     43Da l’altra parte so quanto è molesto
lo spron de l’ira, e come spesso ei mena
a quel ch’è vergognoso ed inonesto:
     46né sempre la ragion, che i sensi affrena,
a stringer pronto in man si trova il morso,
e ’l gran soverchio rompe ogni catena.
     49Se per impeto d’ira il fallo è occorso,
non durate nel mal, ma conoscete
quanto fuor del de ver siate trascorso.
     52Gli occhi del vostro senno rivolgete,
e quanto ingiuriar donne vi sia
disdicevole, voi stesso vedete.
     55Povero sesso, con fortuna ria
sempre prodotto, perch’ognor soggetto
e senza libertá sempre si stia!
     58Né però di noi fu certo il diffetto,
che, se ben come Tuoni non seni forzute,
come l’uom niente avemo ed intelletto.
     61Né in forza corporal sta la virtute,
ma nel vigor de l’alma e de l’ingegno,
da cui tutte le cose son sapute;