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corto che voi foste così suscettibile, cara amica mia. Eravate, o m’inganno, la stessa serenità. Chi o che cosa vi han mutata così?
Eludendo la domanda diretta, Minerva interrogò a sua volta:
— Mi trovate molto peggiorata?
— Non ho mai pensato di dirvi questo. Vi trovo diversa, ho detto. E diversa non significa già peggiorata.
— Dovete pur decidervi, povero Noris: o mi trovate mutata in meglio, o in peggio: di qui non si esce.
— È una domanda che non ho ancora posta a me stesso; ecco perchè non posso rispondervi.
— L’impressione, Noris, l’impressione! non voglio che vi lambicchiate a meditare: voglio sapere l’effetto schietto e magari rude che il mio preteso mutamento vi fa. Se pur volete dirmelo, — soggiunse subito con voce mutata a un tratto, diventata fredda e tagliente quanto prima era concitato, e quasi febbrile.
— Eccoci ritornati all’amaro, — esclamò Noris sorridendo, — miglior dimostrazione della verità del mio asserto non potevate fornirmi. Sono questi bruschi mutamenti improvvisi che vi staccano assai dalla olimpica Minerva di un tempo.
— E vi dispiacciono.
— Sarò più esatto: mi sconcertano.
— Ah!
— Conosco qualcuno — continuò Noris — cui questo atteggiamento assai meno raro ma nuovissimo per la vostra psiche, potrebbe magari far molto piacere.
— Chi? — si rivolse a chiedere Minerva con un’espressione selvaggia nelle pupille torbide.
— Giorgio Dauro.
— Che cosa c'entra Dauro?
— Non lo sapete che è anch’esso una vostra vittima?
— Ah! ah! ah!
La risata stridula e nervosa della fanciulla fu accompagnata da un colpo di volante così violento che la vettura sterzò con un sussulto pro-