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singolare apatia degli antichi 409


«Quanto ne lasciò scritto Plinio il giovane voi lo sapete. Nulla c’è da aggiungere. Del resto nessun altro che descriva i particolari di quella eruzione.... nessuno almeno i cui scritti siano giunti fino a noi. Tacito e Marziale, dissero soltanto così per incidente, che vi ebbero città sepolte o distrutte».

«Chi dunque» continuò Giovannino, «ci ha detto che Ercolano e Pompei furono distrutte da quella eruzione!».

«Dione Cassio, che fiorì un secolo e mezzo dopo Plinio, nomina precisamente le due città d’Ercolano e di Pompei e le dice sepolte sotto le ceneri. Ma il suo racconto, attinto, a quanto pare, alle vaghe tradizioni di un popolo così imaginoso, un secolo e mezzo dopo l’avvenimento, è intessuto di tante favole, che la scienza ci si trova assai male. Più che la storia però parlano le rovine di quelle due città. Monumenti, lapidi, medaglie, tutto si arresta all’epoca della grande catastrofe. Nessun documento nè d’Ercolano nè di Pompei oltrepassa l’anno 79 dell’era volgare, in cui avvenne la grande eruzione. Bisogna dire adunque che le due città furono da quella eruzione sepolte. E come non dovevano esserlo? Ercolano giace precisamente sotto al gran cono. Pompei si scopre anche essa alle falde del Vesuvio, benchè più lontana dal cratere che non fosse Ercolano. Ma vedete bene: se le ceneri e i lapilli piovevano a Castellamare così fitti da far temere che ne rimanessero barricate e sepolte le case, a Pompei dovevano seppellirle.... come le seppellirono difatti».

«E Plinio il giovane, non parla dunque assolutamente dell’eccidio di quelle due città?» continuò meravigliato il mio giovine interlocutore.

«Nemmeno un motto. Narrata la morte dello zio pare che gli venga in mente di dover dare a Tacito qualche altro ragguaglio circa una così spaventevole catastrofe, e comincia: Intanto ci trovavamo a Miseno io e la madre. Ma d’un tratto si arresta, e quasi cacciando una tentazione di vaniloquio, esclama: Non vi ha nulla in tutto questo che interessi la storia; d’altronde tu non volevi sapere che le notizie della di lui morte; quindi finisco»1.

«Pillole! non importano dunque nulla alla storia due città distrutte?» uscì a dire la Giannina, dicendo gli altri lo stesso con ogni genere d’interiezioni.

  1. Interim Miseni ego et mater. Sed nihil ad historiam, nec tu aliud, quam de exitu ejus, scire voluisti: finem ergo faciam.