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dal cratere una tempesta di massi. Tornò a pigliar sonno, ma per poco; poichè nel 1865 ricominciò a ruggire come un leone, vomitando dalla bocca semiaperta colonne di fumo e grandini di pietruzze, ossia lapilli. Noi lo sorprendemmo appunto in questa nuova fase, che era appunto la fase stromboliana. Seduti sull’orlo del cratere potemmo lungamente inebbriarci di quel grandioso spettacolo. Sotto ai nostri piedi si apriva una voragine circolare, che avea forse un chilometro di circonferenza. Essa era circondata da pareti rovinose, quasi a picco, come fosse un gran tino con doghe di scogli dell’altezza di circa 65 metri. Il fondo del tino era piano; ma nel suo mezzo si levava un cono di color bigio, dell’altezza di circa 30 metri, la cui base si dilatava quasi abbastanza per toccare quella del recinto, non rimanendo fra questa e quella che uno spazio circolare, della larghezza di pochi metri. Quel cono, intercluso nel grande, era tronco e svasato anch’esso al vertice; aveva cioè un piccolo cratere, da cui uscivano il fumo continuamente e a volte a volte detonazioni e getti di pietre. Pochi giorni prima del nostro arrivo, il Vesuvio aveva sofferto un impeto di vomito: la lava, sgorgata dal piccolo cratere, e discesa lungo il fianco del cono interno, si era dilagata sul piano circolare che separava il cono stesso dal recinto, formandovi un pavimento liscio, tutto d’un getto, quasi quello spazio circolare fosse stato ripieno di ferro fuso.

» Da qualche minuto stavamo guardando il fumo che si levava, volubile e tranquillo, dalla voragine centrale. D’un tratto si ode un rumore, ch’è tutt’insieme il rantolo di un grosso mastino, un conato di vomito e il russare di un gigante. Il fumo si addensa, ed eccoti una profonda detonazione, come un gran tonfo e al tempo stesso un getto di pietre, disperse come le scintille di un fuoco d’artifizio, formando un pennacchio, che si svolge da un denso globo di fumo, simile a quello che esce dalla bocca del cannone quando gli si accosta la miccia. Le pietruzze nere, alcune rosse di fuoco, descritta una parabola, ricadono a modo di grandine sul cono che le aveva lanciate. Il vulcano, come nulla fosse avvenuto stassi di nuovo tranquillamente fumando, finchè succede un secondo scoppio con una nuova grandinata di sassi. Questo spettacolo si rinnova di cinque in cinque minuti. È, ve n’assicuro, uno spettacolo inebbriante. E’ mi sembrava di trovarmi in diretta comunicazione cogli abissi. La fantasia, cacciandosi entro quella voragine, entro quel fumo che la rendeva interamente, cieca allo sguardo, ricercava le viscere del vulcano