Pagina:Stoppani - Il bel paese - 1876.pdf/451

Da Wikisource.

la terza volta al cratere 445

volesse precipitarmi nell’abisso: ma che pro? Fumo, null’altro che fumo.... Oh ventura! D’un tratto una folata di vento sembra frugare nel cratere fino al fondo; quella nube fitta, come se fosse inseguita, si scompone, si rompe, si dirada, si scioglie. Quale incanto! Sotto i miei occhi io veggo d’un tratto spalancarsi una voragine senza fondo. Fantastiche pareti la cingono, coperte di maravigliosi dipinti. Plutoniche rovine, paesaggi infernali, riflessi di incendi, sale della regina Diamantina, tesori di Creso, gemme dell’India.... Tutto io vidi entro quella voragine. Tutto io vidi, ma nulla distinsi; chè fu un istante, fu un lampo; vidi e non vidi; e quando volevo rendermi conto di quanto vedevo tutto era sparito, tutto era ravvolto in quel denso fumo che rinasceva perenne dal fondo della voragine. Vidi però abbastanza per formarmi un’idea grandiosa della potenza e della varietà di questa fase vulcanica, la quale sembra così da meno nell’estimazione di tutti, in confronto delle altre fasi, e specialmente di quelle grandi eruzioni le quali colpiscono più vivamente i sensi, e trovano il loro posto nella storia.

» Qui la natura lavora nel silenzio e nelle tenebre; ma quale immenso lavoro! I mineralogisti hanno già classificato a centinaja i minerali che il Vesuvio e gli altri vulcani producono per sublimazione durante la fase pozzuoliana. Ma il geologo spinge l’occhio più innanzi. Egli vede nel silenzio e nelle tenebre, anzi nella profondità delle viscere terrestri, deporsi negli antri, nelle crepature, il ferro, l’argento, l’oro; vede insomma fin dal principio del globo generarsi i filoni metalliferi. Sono i tesori vulcanici a cui da migliaja d’anni servono di scrigno le spaccature del globo.

10. » Non mi rimaneva che di visitare l’apparato vulcanico dell’ultima eruzione, da me visto da lungi soltanto. Si rifece ancora con improba fatica quella discesa di cui ho parlato, finchè ci trovammo sul luogo, donde era sgorgata la lava del 15 novembre 1868. Lo spettacolo era veramente interessante. Ho detto, appoggiandomi alle osservazioni del Palmieri, che la lava era uscita divisa in tre fiumi. Io però non vidi che quasi un intreccio di correnti che si sarebbero dette torrenti di pece indurita. Esaminai quella che mi pareva la principale. Diversi coni irregolarissimi si rizzavano sulla superficie delle lave, che si sarebbero dette ancora fluenti. Quei coni non apparivano essere altro che grumi di lava appiccicati l’uno all’altro, nell’atto che ricadevano sul perimetro dell’orifizio, da cui sgorgavano le lave e i vapori. Naturalmente i vapori, uscendo continuamente con getto