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CAPO VI. 93

prova di vero alcuna l’ipotesi, che il ramo semi-greco della lingua latina sia unicamente pelasgo; perciocchè il latino stesso ha tuttavia gran bisogno di essere sottoposto ad un’analisi critica, che scerna e distingua più rettamente i differenti e non tutti ben conosciuti elementi di cui si compone. Tra i quali non sono tampoco di disprezzarsi le derivazioni, che si van cercando nell’idioma indico dalla erudizione moderna. E allora forse apprenderemo una volta quali sieno le vere radici ed i temi della lingua, o delle lingue madri, che formarono la famiglia di queste nostre lingue italiche. Antiquarj e poeti non cessavano però di ricantare origini pelasghe, e si credean di più ravvisare o nell’Etruria o nel Lazio mostra di riti pelasghi: anzi, per poetici ingrandimenti, che ognor più viziarono la storia, essi posero da per tutto, a titolo d’onore, il suono e la signoria dei Pelasghi1. Ma tutte queste eran voci, non fatti istorici: per modo che quantunque non si nieghi la venuta di qualche sciame di venturieri nomadi portanti il nome generico di Pelasghi, con tutto questo la dimora loro in Italia, avanti che passassero altrove come Tirreni, fu troppo instabile, passeggiera e travagliata, per creder mai possibile che occupassero stabilmente e civilmente il paese dell’Etruria insino all’estrema Calabria: e vi tenessero di per tutto

  1. Tal era il regno d’Aso, signor dei Pelasghi nel Piceno, cantato (ut fama docet) da Silio viii. 445. Ma chi potrebbe numerare le novelle dei grammatici, come Igino, che per la forma della loro calzatura trovava negli Ernici una razza pelasga?