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CAPO VII. 159

tajolo il podere che fu già suo, e scacciati o duramente oppressi gli uomini liberi, questi nostri campi vennero dati a coltivare dai nuovi padroni ad agricoltori e pastori forestieri di stato servile: la qual miseria estrema della Toscana fu anche l’incitamento più forte, dicea Cajo Gracco, che mosse Tiberio suo fratello a fare la legge agraria1. Non però era spento affatto nell’universale il valore, nè il desio di libertà: fecero moti alcune città dell’Etruria nella guerra annibalica2: si rianimarono nella sociale: e nella guerra sillana contrappose di nuovo l’Etruria una pertinace resistenza alle tiranniche vendette del crudel dittatore di Roma. Molte delle più principali città furono in quell’epoca sanguinosa o rovinate o disfatte o date in guardia a colonie di rapaci soldati, che, le ricchezze per ingiusti modi acquistate, iniquamente spendevano3. Nobili casati vennero al tutto spenti o mutarono paese. Nè sì grandi flagelli distruggevano soltanto le cittadinanze, ma insieme con esse a grado a grado perivano i monumenti pubblici, le scritture, la letteratura, l’arti migliori: in somma quasi che ogni retaggio della virtù degli avi. La sola aruspicina serbò la sua autorità formidabile fino al

  1. Ap. Plutarch. Gracch.
  2. Liv. xxvii. 21-24. xxviii. 10.
  3. Vedi l’agre rampogne che fa Sallustio delle profusioni e delle ree speranze de’ militi sillani: la maggior parie de’ quali stanziavano in Toscana. Calilin. 16. 28: e parimente Cicerone, Catil. ii. 9.