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CAPO X. 209

istorici. Strabone1 descrive il territorio ardeatino, e l’intera piaggia fra Lavinio e Anzio, come palustre e morbosa. Pone Virgilio2 in esistenza, al tempo prefisso dalla sua epoca, una vasta palude presso di Laurento. E già fino all’epoca della fondazione di Roma il Tevere, com’è noto, impaludava da piè tanto il selvoso colle Palatino, che i terreni adiacenti d’aria infettata3. La maremma del Lazio è stata sempre una terra arenosa, limacciosa e sterile4, dove non allignano altro che piante della numerosa famiglia dei pini. Nè per certo in istato migliore, nè di natura più benigna, trovarono in più lontani tempi il paese i suoi primi abitatori.

Ma chi furono, o potevano essere, questi primi popolatori del Lazio? Sicuramente i più prossimi, o gl’incoli stessi delle altezze appennine, che salvi e sicuri per quelle cime se ne scesero giù al basso tutte volte che il terreno assodato e fermo permetteva loro di porvi senza temenza il piede. Non altro che una generazione d’indigeni montanari poteva così di passo in passo andar occupando il sottoposto paese, a misura che questo si rendeva abitabile, ed avanzarsi oltre per le vie che, in certo modo, natura stessa additava.

  1. v. p. 152.
  2. Virgil. x. 709.; xii. 745.
  3. Cicerone disse bene del sito di Roma: salubri loco in regione pestilenti. De rep. ii. 16.
  4. Ager macerrimum littorosissimumque. Fabius Max. Annal. i. ap. Serv. i. 3.