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CAPO XI. 231

tante al meno dovean possederne le città italiche, dove i Romani mandarono a raccorre documenti della prisca religione, onde riparare alla perdita di quelli che furono arsi nell’incendio del Campidoglio dopo la guerra marsica1. Le mura bensì ancor sussistenti di Anagni, d’Alatri e di Ferentino, fabbricate d’uno stesso sistema con grosse pietre tagliate a poligoni di più lati2, dimostrano per altro la forza loro: e fan vero testimonio che così fatta maniera di costruzione, se non tanto antica quanto si presume, era per lo meno propria delle genti di questi luoghi, ed usata al pari comunemente dai Volsci e Marsi confinanti3.

Il nome nazionale dei Volsci ha dovuto essere Vulci o Vulsci4. Gente copiosa, valente, ed all’armi nata, si trovano essi nelle storie possessori d’un paese di molta estensione e fertilità, il qual non solo comprende la catena inferiore de’ monti appennini, chiamati oggidì Monti Lèpine, ma occupa di più tutta la bassa contrada di maremma, incominciando dal porto d’Anzio infino a Terracina. Abbiamo toccato di sopra coll’autorità di Catone, che quivi pure discesero, come nel Lazio, gli Aborigeni, e vi tennero il

  1. Varro ap. Dionys. iv. 4. 62.; Tacit. vi. 12.
  2. Vedine i disegni dell’opera pittorica di Marianna Dionigi: Viaggi in alcune città del Lazio.
  3. Vedi p. 195.
  4. Vusculus perdidit Anxur. Enn. ap. Fest. v. Anxur. Perpetua proprietà di queste lingue si era l’adoperare l’U vocale in cambio dell’O che non avevano.