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334 CAPO XVII.

parono essi stessi trionfanti le invilite città degli Elleni. La misera condizione, in cui ritornarono i Posidoniati sotto il dominio dei Lucani, trovasi riferita con intimo senso di duolo dal dotto discepolo d’Aristotile1, da che al suo tempo gli antichi coloni achei perduto avendo la favella e il gentil costume natìo, non celebravano più che una sola festa nell’anno per commemorare i cari nomi e l’usanza della patria. In simil forma la lingua osca avea bandita la greca da Cuma, prima che vi desse accesso alla latina2: verificandosi così ne’ Greci italici quel rio destino, che presagiva Platone ai Sicelioti3.

Con tutto questo erano sì grandi, e si frequenti le necessità, che tendevano di continuo ad avvicinare scambievolmente Itali e Greci, che per tali correlazioni e commerci venne a generarsi in tra loro una certa affinità morale che effettivamente produsse un salutare scambio d’idee, d’opere e di costumi. Molto più intrinseche ed importanti si fecero di tempo in tempo le comunicazioni fra i due popoli, allora quando gli Italioti stessi bisognosi di fidarsi in spade straniere, non meno che i tremendi dominatori di Siracusa, usati alle insidie de’ tiranni, ricorsero entrambi al più forte braccio dei barbari, allettandoli con arti e ca-

  1. Aristoxen. ap. Athen. xiv. 7.
  2. Cumanos Osca mutavit vicinia. Vellej. i. 4.; Liv. xi. 42.; Strabo v. p. 168.
  3. Epist. viii. ad Dion. prop. et amicos p. 353: se pure l’epistola è di Platone.