Pagina:Storia del Collegio Cicognini di Prato.djvu/41

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sopradetta, incaricando io la coscienza di ciascuno degli dottori a preferire col voto loro li più poveri e più meritevoli... Il modo di vivere e di vestire, il governo et ogni altro instituto dev’essere regolato, esercitato e comandato da dello Padre Preposito, Rettore o Superiore...

«Terzo, che di tutti gli effetti della mia heredità sia in libertà e potestà del Padre Generale o d’altro deputato o deputati da sua Paternità di farne o farne fare permuta, vendita, rinvestimento in quella forma che si stimerà più spediente, e ciò senza l’assenso della Comunità e città di Prato alla quale doverà solamente ogni volta che ne sia ricercato renderne e farne rendere buon conto.

«Quarto, che perchè detta mia heredità alla morte mia non sarà sufficiente a fare tutte le suddette opere, ordino che l’entrata di essa (l’administrazione della quale voglio che come ho detto di sopra sia libera et indipendente nel detto Padre Generale dei suoi Padri che egli deputerà) e si metta di mano in mano tutto quello si risquoterà... a moltiplico sino a tanto che arrivi a poter supplire a tutti li suddetti pesi. Intorno a che non voglio restar di pregare la mia patria a ciò la suddetta mia disposizione habbia il più presto honorevole, profittevole e più commodo effetto che si possi cooperare, se così lo stimerà bene, che quello che ella annualmente spende in quei maestri che chiamano del Comune s’applicasse a detto Collegio con obbligo a’ Padri Gesuiti d’insegnare alla gioventù pratese come fanno detti mastri di Comune, perchè con questo e con quello che ha