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LIBRO TERZO — 1793. 147

impresa; i più piccoli potentati che stanno tra mezzo seguiterebbero, vogliosi o no, il moto comune; e si farebbe cumulo di forze capace a difendere l’Italia, e a darle peso ed autorità nelle guerre e ne congressi di Europa. Essere obbietto di quella nota, proporre e strignere confederazione, nella quale il re delle Sicilie, ultimo al pericolo, offrivasi primo a’ cimenti; ricordando ad ogni principe italiano che la speranza di campar solo era stata mai sempre la rovina d’Italia,» Saggio ed animoso partito, accettato dal re di Sardegna, rifiutato dal senato di Venezia, e subito negletto dallo stesso re delle Sicilie; perchè, in quel mezzo grosso navilio francese a vele e bandiere spiegate giunse al golfo di Napoli. Sapeva il governo che molti vascelli della repubblica navigavano il Tirreno, ed aveva perciò riparato le antiche batterie delle marine, altre nuove inalzate, e meglio munito d’armi e d’uomini il porto. E frattanto l’ammiraglio La Touche condusse la flotta, quattordici vascelli da guerra, come in porto amico o disarmato; gettò le ancore del maggior vascello a mezzo tiro dal castello dell’Ovo; gli altri vascelli, in linea di battaglia ed ancorati, spiegaronsi nel porto. Popolo immenso guardava; e le milizie e i legni armati di Napoli erano in punto di guerra, quando il re mandò per dimandare all’ammiraglio il motivo di quello arrivo e di quelle mostre; e rammentare l’antico patto, onde a sei vascelli solamente era libero entrare in porto. La Touche dicendo, risponderebbe, inviò legato (di alto grado, però che onorato nel tragitto dagli spari continui della flotta), il quale con lo scritto che recava e col discorso chiedendo ragione della rifiutata accoglienza dell’ambasciatore, e delle pratiche ostili presso la Porta, proponeva la emenda di que’ falli, o la guerra.

Il re unì consiglio; e sebbene gli apparati di resistenza fossero maggiori delle minacce, si che La Touche sarebbe stato perdente o fuggitivo, pure la regina, dicendo pieno di giacobini e nemici il regno, pregava pace; la secondavano i timidi consiglieri; aderiva il re. E subito fu manifestato per detti e lettere accettar ministro Makau, riprovare le pratiche con la Porta, richiamare a castigo il legato di Napoli presso quella corte, spedire ambasciatore a Parigi, promettere neutralità nelle guerre di Europa, essere amici alla Francia. La prima codardia, suggerita da mal nati sospetti, fu stipulata in quel giorno. E nel giorno istesso La Touche salpò; ma poco appresso colpito da tempesta, si riparò nello stesso golfo di Napoli, dove chiese ristaurare le sdrucite navi, rinnovar l’acqua, mutare i viveri, praticare nel porto; prieghi onesti a re amico, spiacenti al governo di Napoli ma innegabili. Molti giovani napoletani, ardenti nelle nuove dottrine, comunicarono con gli ufficiali del navilio, con Makau, con La Touche; e però che in quel tempo