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196 LIBRO OTTAVO — 1817.

terzo, ed il quarto conte di Lecce; nudi titoli da passare a’ figliuoli de nominati per linea maschile senza terre o dominii. Divennero dubbie, dopo il mutato nome del re, le pretensioni del pontefice alla investitura del trono di Napoli; ma non si tolsero affatto le ragioni alla contesa, che aspetta il tempo.

Altro editto del giorno istesso instituì un consiglio di cancelleria di dodici consiglieri ordinarii, cinque straordinarii, otto referendarii; era dei referendarii l’informare, degli ordinarii il consigliare; e solanente nelle adunanze generali gli straordinarii davano voto. Il consiglio, diviso in tre camere, provvedeva all’amministrazione delle comunità, ed alle fondazioni pubbliche o religiose; ma non punto alle gravezze o alla finanza, nè alle amministrazioni di stato e di provincia. Il voto era consultivo, l’esame segreto sopra mandato di un ministro, ed a quello istesso rispondeva il consiglio; e perciò non censura o ritegno, ina baldanza ed ajuto a’ ministri: tralcio di assoluta potenza ingrato al popolo.

Altre due leggi, pure di quei giorno, riordinarono il consiglio di stato e ‘l ministero: il primo non avea facoltà nè tornate ordinarie; sceglieva il re i consiglieri, che gli piaceva di udire; il voto consultivo, segrete le adunanze e i pareri; non era dunque parte o corpo dello stato ma semplice forma di governo, e talora velame di consiglio alle voglie libere del re. Il ministero fu diviso in otto segreterie di stato; la polizia non ebbe per capo un ministro, ma più modesto magistrato chiamato direttore: migliorò il nome, restarono le cose.

Con le riferite ordinanze era mente del re spegnere di coperto le costituzioni della Sicilia. I Siciliani riempivano la quarta parte della cancelleria del consiglio di stato, del ministero; si dicevano eguali le condizioni delle due Sicilie; il governo risederebbe quando in Napoli, quando in Palermo; nessuna preminenza fra le due parti del regno. Il duca di Calabria fu eletto luogotenente del re in quell’isola; dove l’amministrazione, la finanza, la giustizia, tutte le parti di governo resterebbero indipendenti; confermati i tributi dell’anno 15 que’ medesimi decretati dal parlamento, fu dichiarato che senza il voto di questo nessun’altra taglia sarebbe imposta nell’avvenire. Con queste carezze ed infingimento il governo sperava di addolcire ne’ Siciliani l’offesa e ‘l dolore delle perdute libertà; non più il parlamento fu convocato, non più la stampa fu libera, nè più i cittadini dalle leggi fatti sicuri. Cadde la costituzione siciliana dell’anno 12, come per altri artifizii era caduta l’antichissima di sette secoli; dirò brevemente i progressi e l’oppressione delle siciliane libertà.

XXVI. Nell’anno 1080 i baroni normanni scacciando i Saraceni dalla Sicilia, si univano, per provvedere alla guerra in assemblea,