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LIBRO DECIMO — 1822. 309


Dicevasi che il processo discolpava gli accusati, e della voce lietamente sparsa indispettiva il governo; così che ad occasione di un decreto della corte suprema, benigno a’ rei, lo annullò, rimprocciò per pubblicate lettere quel magistrato, levò di carica il ministro di giustizia cavalier de Giorgio perchè in sostegno delle leggi opponevasi a quel rigore; indi appresso surrogò al procurator generale Calenda, di onesta fama, il magistrato Brundisini, non curante d’infamia; e dagli esempii sbigottito il presidente Potenza, allegando causa d’infermità, diè loco al supplente Girolami, ambizioso e perverso. Mancò il Potenza al maggior debito di magistrato, costanza ne’ pericoli.

Ma il dì prefisso al dibattimento quattro degli accusati erano infermi: due con febbre, un terzo di emottisi, l’altro di riaperte ferite di guerra al collo ed alla gota. Gli avvocati pregarono che si differisse, ma invano; i quattro infermi furono tratti per forza dal carcere al giudizio: l’uno chinava il capo al petto, ed appoggiava la persona, come moribonda, sul vicino; l’altro di febbre balbutiva e tremava; dava di bocca vivo sangue il terzo; e ’l quarto ne mandava dal capo, e ne bruttava le vesti. Deforme spettacolo! Uno de’ giudici, de Simone, si levò, e disse: «Dimando al signor presidente ed al procurator regio se qui siamo giudici o carnefici? Il re, se fosse presente, biasimerebbe l’inumanità. nostra. Io prego cogli avvocati che sia differito il giudizio.» A_que’ detti assentiva tumulyuando il popolo presente: le guardie (erano tedesche) impugnarono l’armi, parecchi imprigionamenti nella casa della giustizia seguirono, vile silenzio successe nella moltitudine, i preghi del de Simone furono rigettati. Con sembianze tanto atroci cominciò il dibattimento.

Erano grandi le colpe, le discolpe: diserzioni concertate di reggimenti, violata la disciplina e il giuramento della milizia, mutato il governo, cagionata la guerra: e dall’opposta parte, moti tranquilli, rivoluzione civile, perdono, lodi, giuramento del re; universal consentimento de’ reggitori e de’ soggetti; eguali sforzi a sostener quello stato, eguale abbandono nelle rovine: perciò colpe comuni o nessuna. Per i quali rispetti gli onesti fra i giudici sentivano pietà e brama di giovare a que’ miseri; gli ambiziosi disegnavano di amplificare il delitto. Gli accusati stavano sereni, o per animo grande, o per gli ajuti della speranza, o per la calma che viene colla disperazione. Morelli, più volte interrogato sulle particolarità del delitto, rispondendo aggravava le colpe, e soggiungeva: «Mancai, lo confesso, al giuramento della milizia; ma il re giurò di perdonare il mio mancato giuramento, Il colonnello Colentani, altro incolpato, udendo accusare come ribelli gli uffiziali del suo reggimento, chiese parlare , e disse: