Pagina:Storia della Lega Lombarda.djvu/223

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libro terzo 217

spondendo loro, accettar la resa della città a discrezione, a patti non mai1.

Recata in patria dai messaggi la imperiale sentenza, e indoratala alla meglio con promesse di cesarea clemenza, non fu più luogo a deliberare, e fu convenuto rendersi senza guarentigia di trattato in balia del Tedesco. In que’ tempi il cuore e la fantasia andava innanzi alla ragione, ed i sensi richiedevano dai fatti una loquela assai viva. Il chiedere giustizia ad un Imperadore, vedemmo; si facesse coll’accollarsi delle croci; il tener presente la patria agli animi de’ battaglianti ottenevasi con tutta quella macchina del Carroccio. La resa di Milano principal sede della italiana libertà, segno alle tedesche furie, che aveva visto rompersi sotto le sue mura più volte lo sforzo di Lamagna, non poteva farsi senza moltitudine di esteriori forme, che richiedevano l’indole del popolo e la superbia del Principe. Ma sotto quelle forme che io narrerò, non si celavano anime vili e minori del grandissimo infortunio, bensì un sottile artifizio ad inebriare colle stemperate onoranze e l’apparente umiliazione del più generoso popolo del mondo gli spiriti di Federigo, e così inchinarlo a più miti consigli verso la minacciata patria.

Pel dì primo di Marzo uscirono di città i Consoli con venti nobili e si recarono a Lodi, ove teneva la corte l’Imperadore: e prostrati ai suoi piedi colle nude spade sul collo, si dissero resi a lui con tutta la città, e con sagramento si obbligarono a fare ogni suo piacere. Scorsi tre dì, tornarono i Consoli con trecento, ch’erano il fiore delle milizie milanesi, Guantelino ingegniere, che fu veramente l’Archimede di Milano2, deputato a recar le chiavi della città a Federigo. Si prostrarono a’ suoi piedi chiedendo misericordia; rassegnarongli colle chiavi della città trentasei bandiere, e rinnovarono i giuramenti già prestati dai Consoli.

  1. Burchardi Epist. S. R. I. vol. 6. p. 915.
  2. Vedi Nota C.