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76 Storia della Letteratura Italiana.

sono scritte, prende il Bentley la seconda difficoltà: esse sono scritte nel Dialetto Attico, mentre nella Sicilia usavasi il Dorico; e questo Attico Dialetto medesimo non è già l’antico, ma il moderno, che a’ tempi di Falaride non era ancora in uso; e tre parole singolarmente vi s’incontrano, che sono di conio, per così dire, assai posteriore. Il terzo genere di difficoltà è preso da’ sentimenti e da’ pensieri, che nelle lettere si veggono espressi, i quali certo non sembrano adattati a un Tiranno. Il quarto finalmente dal silenzio degli antichi autori; poiché i soli, da’ quali se ne faccia menzione, sono Stobeo, Suida, Tzetze, Fozio (il quale innoltre mostra1 di non esser troppo persuaso della loro legittimità), Nonno ne’ Comenti su S. Gregorio Nazianzeno, e lo Scoliaste di Aristofane, Scrittori tutti troppo recenti, perché la loro autorità su questo punto debbasi avere in gran pregio. A tutte queste ragioni hanno controrisposto il Boyle e il Dodwello. E quai ragioni vi sono in fatti, a cui non si possa rispondere? Si è ella veduta mai una letteraria contesa, che dopo essere stata lungamente e caldamente agitata, abbia finalmente avuto termine col confessarsi da alcuna delle due parti l’errore, in cui era stata? Il più leggiadro si è, che in tali controversie l’oggetto stesso talvolta fa negli occhi e nell’animo de’ diversi partiti impressioni al tutto diverse. Basta dare un’occhiata, dice il Boyle co’ suoi seguaci, alle lettere di Falaride, per conoscer ch’esse furono veramente da lui medesimo scritte. Convien essere, dice un d’essi2, poco esperto nell’arte di dipingere per non considerar queste lettere come originali; vi si trova una sì gran libertà di pensare, sì grande ardire nella espressione, sì grande stima pel sapere e pel merito, sì fiero disprezzo de’ suoi nemici, sì gran cognizione del mondo, che tutti questi diversi sentimenti non potevano essere espressi che da lui, che ne era veramente compreso. Al contrario il Bentley dice3, che vi sono assurdità e inconvenienze tali, che non possono venire che dalla penna di un Sofista, e che egli è ben facile a vedere, che esse non sono che una finzione di qualche Declamatore. Così ad ognuno appajono gli oggetti, quali ei crede,

  1. Epist. 207.
  2. V. Biblioth. Britannique T. XII. p. 385.
  3. V. Nouvell. de la Rep. des Lettres 1699. p.664.