Pagina:Storia della letteratura italiana - Tomo I.djvu/305

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renza, ch’egli negava di usare a riguardo degli altri. Così Pollione volendo oscurar la fama di Tullio, e condur l’Eloquenza a una perfezion maggiore di quella, a cui quel grand’uomo l’avea condotta, venne a ricadere in que’ difetti medesimi, da cui Tullio aveala diligentemente purgata; e abbandonando la facondia, la grazia, la naturale eleganza di Cicerone, uno stile introdusse arido, tronco, affettato, e somigliante a quello, che usavasi dagli antichi Oratori.

XXX. Or essendo Pollione uomo di gran sapere, e che godeva in Roma di molta stima, non è maraviglia, che seducesse col suo esempio molti altri; e che quindi l’aurea eloquenza di Cicerone si venisse poco a poco oscurando, per così dire, e cadesse in dimenticanza, e si prendesse a battere la nuova strada, che da Pollione erasi aperta. Al che le circostanze de’ tempi concorsero a mio parere non poco, non tanto per le ragioni di sopra arrecate, quanto per due altre, ch’io accennerò brevemente. E in primo luogo, se il nuovo genere di Eloquenza, che da Pollione e da’ suoi imitatori fu introdotto, si fosse preso ad usare a’ tempi della Repubblica, il popolo, che era in Roma il più giusto ed imparzial giudice della vera Eloquenza, avrebbe co’ fatti mostrato, quanto fosse superiore all’Eloquenza di Pollione quella di Tullio; e i nuovi Oratori avrebbono dalla sperienza loro medesima appreso, che ad essere arbitro della Repubblica conveniva seguir le vestigia di Cicerone. Ma il sistema del governo era cambiato: i grandi affari regolavansi secondo il volere dell’Imperadore; e il popolo più non aveva che un’ombra apparente di libertà e di potere; né era perciò in istato di dare pubblicamente a conoscere, qual genere d’eloquenza fosse il più opportuno a muoverlo e a piegarlo. In secondo luogo il mostrarsi seguace e imitatore di Cicerone, cioè di un uomo, che della pubblica libertà erasi sempre mostrato tanto zelante, di un uomo, il cui nome e la cui eloquenza rimproverar doveva ad Augusto la suprema autorità da lui usurpata, di un uomo per ultimo, di cui egli avea permessa, o fors’anche voluta la morte, non era cosa, che si potesse credere cara ad Augusto; e quello spirito d’infingimento e di adulazione, che a questo tempo cominciò ad introdursi in Roma, e che tanto poscia si accrebbe sotto i seguenti Imperadori, dovette 155 probabilmente condurre