Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/392

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così squisito che ciò che riceve esce con la sua stampa come una nuova creazione. Ci è nel suo spirito una grazia che ingentilisce il volgare naturalismo del suo tempo, e una delicatezza che gli fa cogliere del suo mondo il più bel fior. L’insignificante, il rozzo, il plebeo, non entra nella sua immaginazione; ciò che sta lì dentro, è tutto elegante e profumato, e non cessa che non l’abbia reso con l’ultima finitezza. Le sue reminiscenze mitologiche e classiche sono semplici mezzi di colorito e di rilievo: gli sta innanzi Venere, Diana e la tale e tale frase di Ovidio o di Virgilio; ma il suo spirito va al di là della frase, attinge le cose nella loro vita, e le rende con evidenza e naturalezza. Perciò, raro connubio, l’eleganza in lui non è mai rettorica e si accompagna con la naturalezza, perchè ha delle cose una impressione propria e schietta. La mammola, la rosa, l’ellera, la vite, il montone, la capra, gli uccelli, le aurette, l’erba e il fiore, tutto si anima e si configura e prende le più vaghe e gentili abitudini innanzi a questa immaginazione idillica. Ciò che prova non è sensualità, è voluttà, sensazione alzata a sentimento, che fonde il plastico e te ne fa sentire la musica interiore. Ottiene potentissimi effetti con la massima semplicità de’ mezzi, spesso col solo allogare gli oggetti, ora aggruppando, ora distinguendo, e tutto animando, come persone vive. Tale è la mammoletta verginella, con gli occhi bassi e vergognosa, e l’ellera che va carpone co’ piedi storti, o l’erba che si maraviglia della sua bellezza, bianca, cilestre, pallida e vermiglia. Il sentimento che n’esce non ha virtù di tirarti dalle cose e lanciarti in infiniti spazii; anzi ti chiude nella tua contemplazione e vi ti tiene appagato, come fosse quella tutto il mondo, e non pensi di uscirne, e la guardi parte a parte nella grazia della sua varietà. Perchè il motivo dell’ispirazione non è lo spirito nella sua natura trascendente e musicale, quale si mostra in Dante, ma il corpo,