Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/85

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cerone, mastro di rettorica e buono chierico, così comincia una sua aringa a Pompeo: «Li Re e Conti e Baroni e l’altro popolo ti richieggono e pregano che tu non metta la cosa a indugio». E non è meraviglia che anche nelle cronache penetri questa vita cavalleresca. Si leggono non senza diletto i Diurnali, o come oggi si direbbe, giornali di Matteo Spinelli, la più antica cronaca italiana, non solo per la semplicità e naturalezza del racconto in un dialetto assai prossimo al volgare, ma per la vaghezza de’ fattarelli, che pare un favellatore e non uno storico. Di maggior mole è la storia di Firenze di Ricordano Malespini, che dagli inizii della città si stende sino al 1282. Quando narra fatti contemporanei, testimonio veridico ed esatto, nè la sua fede guelfa lo induce ad alterare i fatti. Ma quando esce da’ suoi tempi, ti trovi nell’infanzia della coltura. Anacronismi ed errori geografici sono accoppiati con la più grossolana credulità nelle favole più assurde, improntate di tutto il maraviglioso de’ romanzi cavallereschi. Dice che la Chiesa di san Pietro fu fondata ai tempi di Ottaviano, quando san Pietro e Cristo stesso non erano ancora nati; che la mattina di Pentecoste fu celebrata la messa nella chiesa della canonica di Fiesole al tempo di Catilina; che il tempio di san Giovanni in Firenze fu fondato alla morte di Cristo; che Pisa viene da pisare o pesare, Lucca da luce, e Pistoja da pistolenzia: narra gli amori di Catilina con la Regina Belisea, figlia del Re Fiorino, e le avventure di Teverina, figlia di Bèlisea, e pare una pagina tolta a qualche romanzo allora in voga.

In queste versioni e cronache la lingua è ancor rozza e incerta, desinenze goffe o dure, sgrammaticature frequenti, nessun indizio di periodo, nessun colorito: non ci è ancora l'io, la personalità dello scrittore.

Come la poesia, così la prosa cavalleresca poco attecchì in Italia. Non solo non ci fu nessun romanzo originale,