Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/111

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no. Talora gli attori erano fanciulli. Fu pur troppo nuova cosa, scrive il Castiglione, vedere vecchiettini lunghi un palmo servare quella gravità, quelli gesti così severi, simular parasiti e ciò che fece mai Menandro. Accompagnamento alla commedia era la musica, e intermezzi o intromesse erano le moresche, balli mimici. Le decorazioni magnifiche. «Nella rappresentazione della Calandria in Urbino vedevi un tempio, tanto ben finito, dice il Castiglione, che non saria possibile a credere che fosse fatto in quattro mesi, tutto lavorato di stucco, con istorie bellissime: finte le finestre di alabastro, tutti gli architravi e le cornici d’oro fino e azzurro oltramarino, figure intorno tonde finte di marmo, colonnette lavorate. Da un dei capi era un arco trionfale. Era finta di marmo, ma era pittura, la storia delli tre Orazii, bellissima. In cima dell’arco era una figura equestre bellissima, tutta tonda, armata, con un bell’atto, che feria con un’asta un nudo, che gli era ai piedi». L’Italia si vagheggiava colà in tutta la pompa delle sue arti, architettura, scultura, pittura. Musiche bizzarre, tutte nascoste e in diversi luoghi. Quattro intromesse, una moresca di Iasòn o Giasone, un carro di Venere, un carro di Nettuno, un carro di Giunone. La prima intromessa è così descritta dal Castiglione: «La prima fu una moresca di Iasòn, il quale comparse nella scena da un capo ballando, armato all’antica, bello, con la spada e una targa bellissima; dall’altro furon visti in un tratto due tori tanto simili al vero, che alcuni pensaarono che fusser veri, che gittavano fuoco dalla bocca. A questi si accostò il buon Iasòn, e feceli arare posto loro il giogo e l’aratro, e poi seminò i denti del dracone: e nacquero a poco a poco dal palco uomini armati all’antica, tanto bene quanto cred’io che si possa: e questi ballarono una fiera moresca, per ammazzare Iasòn; e poi quando furono all’entrare, si ammazzavano ad uno ad uno, ma non si